L'unico, il solo, il primo. Capitolo 1

« Older   Newer »
  Share  
Hikari93
view post Posted on 17/12/2012, 16:17




Personaggi: Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha, Itachi Uchiha
Coppia: Uchihacest
Rating: Verde (per ora, ma pubblicandolo sul blog posso prendere in considerazione anche l'idea di alzarlo fin quanto voglio)
Genere: Romantico
Capitolo: Uno
Note: AU
Stato: Incompleta - disponibili già il Prologo + Cinque Capitoli
Link di questo capitolo su EFP: www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1412652&i=1







CAPITOLO
~ 1~









Sasuke aveva le mani congelate e l’eco delle musichette natalizie iniettata direttamente nel cervello.
Dannati negozietti da quattro soldi dai dubbi gusti musicali…
Rabbrividì. Un po’ per le luci colorate dei vicini – che gli infondevano la stessa allegria di una marcia funebre – e altrettanto per la temperatura degna del Polo Sud.
Se fosse stato un pinguino avrebbe gioito.
Guardò con astio il calendario appeso alla parete – come se lo ritenesse assurdamente il colpevole di quegli aghi gelidi nelle ossa –, deducendo che non fosse normale che il venti Dicembre facesse così tanto freddo. Era convinto che negli anni passati non fosse stato così. Un po’ come quei notiziari dei giorni d’Agosto che imprimevano nel cervello della gente la bufala di star vivendo ogni anno un’estate più rovente di quella precedente.
«Vuoi che ti prenda una felpa?»
«No.»
Sasuke aveva le mani congelate e un umore talmente nero da invidiare le nuvole temporalesche gonfie e scure, e Itachi non ne era escluso. Anzi, diventava la principale vittima dei suoi modi bruschi.
Del resto la colpa era sua e lui se lo sorbiva.
«Almeno posso sedermi vicino a te senza rischiare un braccio?»
Il tono volutamente scherzoso che Itachi aveva usato non fece altro che stressare ancora di più i nervi già provati di Sasuke. Si portò le braccia al petto, nascondendo le mani in prossimità dei gomiti, e, dopo aver fatto aderire il corpo allo schienale del divano – suo fido compagno di nullafacenza dai tempi –, voltò la faccia verso un punto vago che era divenuto improvvisamente molto interessante.
Probabilmente suo fratello dovette interpretare quel cupo silenzio come un invito ad accomodarsi, dato che fu subito vicino a lui.
«Ti senti bene? E’ da stamattina che tremi, forse ti stai ammalando.»
Anche se Sasuke avesse voluto obiettare – con proteste fatte di smorfie facciali e gesti o con frasi poco gentili era indifferente – non ci sarebbe riuscito; rimase immobile da quando si accorse della presa salda di Itachi sul braccio fino a quando non si trovò con le labbra di lui spiaccicate sulla fronte.
Profumava Itachi, in fondo Sasuke l’aveva sempre saputo.
D’istinto – in realtà spinto da un dolore lancinante dentro di sé che non riusciva a identificare e che non voleva nemmeno sapere dove avesse origine – si ritrasse velocemente, spintonando via Itachi con forza.
«Sto bene, idiota, lasciami in pace!»
In teoria qualunque persona vagamente normale avrebbe dovuto offendersi o arrabbiarsi, visto che a urlargli contro era stato un irrispettoso fratellino minore nel pieno dell’adolescenza al quale non era stato fatto mai mancare niente, tuttavia l’espressione di Itachi non cambiò.
Anzi, dopo qualche secondo di silenziosa osservazione gli sorrise addirittura, incoraggiante. «Meglio così.»
«Se fai così perché pensi di scatenare un chissà quale processo in me che mi porti a chiederti scusa ti stai sbagliando» mormorò Sasuke, preferendo rivolgere gli occhi al parquet piuttosto che al suo strano interlocutore.
In realtà parlare in quei termini con Itachi era l’ultima cosa che voleva – non si sarebbe detto, era orgoglioso di riuscire a nasconderlo così bene –, però da un po’ di tempo a quella parte ogni parola era buona per far nascere uno scambio accesso di battute.
E il peggio era che Sasuke sapeva a cosa – a chi – era dovuto.
Da quando quella puttana era entrata nelle loro vite gli sembrava tutto diverso, Itachi gli sembrava diverso – sebbene dentro di sé sapesse che non era cambiato nemmeno di una virgola.
Quello che sicuramente aveva trovato un cambiamento era il loro rapporto. Sasuke era sempre stato un ragazzino piuttosto chiuso e introverso, tuttavia suo fratello aveva rappresentato un’eccezione; con lui non c’erano segreti, era una persona fidata a cui potersi appoggiare in qualunque momento e a cui poter chiedere consiglio. Questo perché vivevano in funzione l’uno dell’altro e nessuno si permetteva di occupare il loro spazio più del dovuto.
Sì, prima…
Kaori si recava a casa Uchiha spesso. Troppo spesso. Per Sasuke sarebbe stato troppo anche soltanto una volta ogni dieci anni, anche una ogni cento, per essere puntigliosi. E se gli andava male se la sarebbe ritrovata a girovagare per casa anche il giorno di Natale. Una prospettiva rosea, indubbiamente.
Non avrebbe mai dimenticato quando aveva scorto la ragazza – alla quale lui preferiva attribuire una lista infinita di altri nomi non del tutto carini – appiccicata al braccio di suo fratello - e poi è con me che rischia il braccio…
In un’altra occasione Sasuke sarebbe stato grato al campanello di aver interrotto il filo attorcigliato dei suoi pensieri frustranti, ma, dato che sapeva già chi attendesse alla soglia, si permise di evitare di ringraziarlo.
Itachi lo guardò di sbieco con la coda dell’occhio prima di andare ad aprire.
Nei sei mesi trascorsi dall’arrivo di Kaori, Sasuke non aveva mai avuto il coraggio di guardare suo fratello in faccia quando lei era nelle vicinanze. Si era interrogato a fondo, e aveva capito che non voleva rischiare di vederci dell’affetto sincero nei suoi occhi, dell’amore che potesse superare quello che aveva sempre provato per lui.
Almeno dentro di sé voleva rimanere l’unico, il solo, il primo.
«Buonasera» salutò lei, educatamente; se non fosse stata la ragazza di suo fratello magari avrebbe potuto nutrire pure un discreto disinteresse, anziché odio profondo.
Che cazzo saluti a fare? A parte me – che non voglio avere niente a che fare con te – e mio fratello non c’è nessuno; papà è a lavoro.
Sasuke strinse con forza le mani – ancora congelate –, scalfì la pelle con le unghie. Probabilmente dentro di sé c’era un crescente istinto masochistico che godeva tanto nel farlo scervellare quanto nel tenerlo sveglio a pensare tutta la notte, perciò, dandogli ascolto, si voltò appena appena verso Itachi e Kaori, sapendo già che lei lo avrebbe baciato.
Difatti così fece.
A dirla tutta a lui sembrava più una piovra della peggior specie – orrenda e bitorzoluta – che provava a mangiare suo fratello.
Ma la invidiò tantissimo, almeno tanto quanto la odiò.
L’unica cosa che desiderava era andarsene da lì. Si alzò con poco garbo, non marcò i passi di sua spontanea volontà, ma fu comunque abbastanza rumoroso da farsi sentire dai due fidanzatini.
Itachi gli si parò subito dinnanzi, magari intuendo che la situazione si sarebbe presto scaldata. «Otouto, dove vai?»
«In camera mia, e ora togliti dai piedi.»
«Puoi restare, se vuoi.»
C’era dispiacere sul suo volto – Itachi voleva che rimanesse –, ma Sasuke non volle badarci. «Non vorrei assistere a scene disgustose come quelle di prima, se permetti. Inoltre, certe cose sono vietate ai minori, non mi perdonerei mai se dovessi impedirvi di puttaneggiare da veri fidanzatini schifosi.» Lo sguardo di Itachi si era fatto più serio e duro, ma non bastò a placarlo. «Fate pure tutti i rumori che volete, mi tapperò per bene le orecchie. Ricordatevi soltanto che in serata tarda rincaserà papà, e non sarebbe un bello spettacolo.»
«Sasuke, smettila.»
Sapeva di risultare infantile, sapeva che soltanto i bambini capricciosi continuavano a insultare dopo un primo avvertimento. Doveva esserci qualcosa di non troppo normale in lui, visto che più teneva a una persona e più la trattava a pesci in faccia.
«Il divano è tutto vostro» aggiunse, infatti. «Buon divertimento, a te e a quella puttana.»
Schiaffeggiò il braccio che Itachi aveva avvinghiato al suo polso e si divincolò dalla sua presa. Di filato, fingendo di non sentire le scuse che suo fratello stava facendo a Kaori da parte sua, si intrufolò in camera e vi rimase per tutta la sera.
Era pentito di come aveva trattato Itachi, però non poteva dire lo stesso per Kaori: si sentiva estremamente soddisfatto di averle dato della poco di buono. Almeno, ora sapeva cosa ne pensava di lei.
La sera stessa Itachi provò a schiudere la porta della sua camera, trovandola serrata a chiave. Non insistette più di tanto, comprendendo che il fratello avesse bisogno tanto di una strigliata quanto di tempo per riflettere e rendersi conto della cattiveria che aveva detto e della maleducazione dimostrata.
La mattina dopo Sasuke evitò in tutti i modi possibili di parlare con Itachi. Si trattenne cinque minuti di più in bagno – chiedendosi perché diamine il bagno fosse mille volte più gelido rispetto al resto della casa –, evitò la colazione e uscì soltanto quando sentì il rumore del motore della macchina di Itachi, cosa che lo assicurava che suo fratello se ne fosse già andato.
Peccato che la sua fosse una convinzione errata; quando scese le scale, per poco non gli prese un colpo quando trovò Itachi appoggiato al corrimano.
Tornarsene indietro adesso sarebbe stato da codardi: non c’avrebbe fatto una bella figura e suo fratello avrebbe avuto il diritto di prendersi gioco di lui per tutto il resto della sua vita.
Passargli davanti con nonchalance, fingendo spudoratamente di non averlo visto nonostante i loro occhi si fossero incrociati, gli sembrava la soluzione tanto più idiota quanto migliore.
Evidentemente quella mattina doveva andare tutto storto, magari il suo segno aveva qualcosa come mezzo sistema planetario contro, perché Itachi lo afferrò per il braccio. Un po’ per la sorpresa, un po’ per il dolore, Sasuke gemette.
«Ti rendi almeno conto di quello che hai detto ieri?»
Se avessero inventato un qualunque meccanismo per tenere a freno la lingua e obbligare le persone a pensare almeno per dieci secondi prima di parlare, sarebbe stato il suo prossimo regalo di Natale. Nel frattempo, non riusciva a frenare ciò che aveva dentro.
«Davvero? Sarà stato talmente insignificante che neanche lo ricordo.»
Aspettò la replica di Itachi; uno schiaffo, una strigliata, una tirata d’orecchi. Invece lui sospirò, sconfitto.
«Per favore, spiegami cosa sto sbagliando con te.»
Niente, cos’è che stava sbagliando? Itachi era perfetto, non sbagliava mai.
Sasuke sapeva che era lui a star mandando a scatafascio il loro legame con la sua assurda gelosia. Cosa avrebbe potuto rispondergli? Non gli pareva intelligente né gratificante dirgli la verità e spiegargli che era tremendamente invidioso di Kaori a livelli patologici, e che avrebbe voluto esserci lui al suo fianco per sempre, in qualunque modo Itachi desiderasse, e quindi arginò la discussione.
«Spostati, Itachi, farò tardi a scuola.»
Itachi non aveva intenzione di allentare la presa. Anzi, la rafforzò: lo attirò a sé velocemente, con delicatezza, come quando erano bambini. Lo strinse, lo riscaldò – faceva caldo, tanto caldo tra le braccia di Itachi –, la mano corse ad accarezzargli i capelli.
Di nuovo. Di nuovo soli. Nessun altro.
«Non ti devi preoccupare, otouto. Sarai sempre l’unico, il primo, il solo» gli bisbigliò all’orecchio, baciandogli poi la testa proprio sopra al padiglione auricolare.
Sasuke arrossì, si sentì felice e stizzito insieme, perché comunque, nonostante tutto, malgrado il bene che Itachi gli stava dimostrando, Kaori continuava a esistere, a poter baciare suo fratello, prenderlo per mano davanti a tutti, abbracciarlo magari con più trasporto di come stavano facendo loro due adesso – in fondo erano soltanto fratelli, loro due.
«Sì, nii-san, ho capito, va bene» borbottò, divincolandosi. «Ti ho detto che devo andare adesso.»
Con la morte nel cuore.



Itachi guardò la schiena di Sasuke sparire dietro il portone.
Avrebbe voluto rimanere ancora un po’ abbracciato a lui, per rassicurarlo e ricordargli un milione di volte – se necessario – che nessuna avrebbe potuto prendere il suo posto, mai.
Lui amava Sasuke, di un amore inclassificabile. Non l’amore per un innamorato, non quello per un familiare e nemmeno lo stesso che provava per Shisui. Si trattava di un affetto diverso, a suo modo strano.
Sì, inclassificabile.
Per quell’affetto avrebbe fatto qualsiasi cosa, rinunciato a tutto pur di viverlo appieno, anche se non notava tutto questo sforzo e interessamento anche dall’altra parte, e ciò lo turbava e infastidiva insieme – anche se sapeva che suo fratello aveva mostrato raramente la volontà di facilitare le cose agli altri e di confidarsi.
Ma era inutile girarci attorno, il problema era Kaori.
Sulle prime, nei primi giorni della sua relazione, aveva pensato che a Sasuke occorresse soltanto del tempo per abituarsi alla nuova situazione, che non lo avrebbe, però, privato di nulla.
Sempre l’unico, il primo e il solo, per lui.
Tuttavia, col passare dei mesi, Sasuke, anziché adattarsi, si era incupito sempre di più, quasi ingelosito, sebbene Itachi continuasse a invitarlo a dormire con lui o a trascorrere dei pomeriggi insieme, come prima.
Dal suo punto di vista, la sua unica colpa era quella di aver instaurato un altro legame. Riflettendoci, chiunque avrebbe pensato che una richiesta del genere fosse inesaudibile, poiché ognuno aveva libertà di attaccarsi sentimentalmente o non a chi voleva, e francamente anche Itachi condivideva lo stesso pensiero.
Soltanto che la cosa cambiava radicalmente se a dirlo o a pensarlo fosse Sasuke.
Si rendeva conto che non fosse possibile che suo fratello arrivasse a condizionargli la vita a tal punto che a una sua parola – pur di vederlo felice, di vederlo ridere come quando da bambino gli diceva che sarebbe rimasto con lui anche quel pomeriggio – avrebbe davvero lasciato tutto.
Anche Kaori? Sì, probabilmente sì.
Come se la stessa si fosse sentita chiamare, il cellulare di Itachi vibrò in tasca, a indicare l’arrivo di un sms proprio di Kaori.
Ciao amore mio. Ti va di vederci oggi pomeriggio alle cinque? Vorrei comprare i regali di Natale e mi piacerebbe che mi accompagnassi. Un bacio.
Itachi fu indeciso soltanto per un istante su cosa risponderle; in realtà non aveva troppa voglia di vederla – non dopo l’abbraccio carico di affetto che aveva dato a Sasuke, un gesto che pareva aver calmato suo fratello almeno un po’. Voleva dedicare le sue ore pomeridiane libere soltanto a lui.
Scusami, facciamo domani.
Non era riuscito a mostrarsi meno di freddo di così. Forse, piuttosto che a sé – che solo a sé – attribuiva la colpa del malessere di Sasuke anche a lei. Il pensiero che chiunque potesse addolorare suo fratello in qualche maniera – nonché l’assoluta certezza di essere anche lui ugualmente responsabile, se non di più – lo intristiva.
Non voleva che accadesse.



«Smettila di scocciare, usuratonkachi. E chiudi subito la finestra.»
Diversamente da come aveva sperato, andare a scuola non era riuscito a rilassarlo. Non solo perché le noiosissime lezioni lasciavano vagare liberamente il pensiero verso altri lidi – sempre Itachi, c’era poco da fare –, ma anche perché il profumo di Itachi – delle sue braccia forti – pareva essersi fuso con la sua pelle, e a ogni suo brivido si librava in aria.
E partivano bestemmie verso i riscaldamenti scadenti e un migliore amico idiota che per chissà quale malato meccanismo nel cervello decideva di punto in bianco di far cambiare l’aria in classe.
«Ti ammalerai se non farai cambiare l’aria» gli diceva allora quest’ultimo, saccente. «E poi c’è puzza di chiuso.»
«Naruto, guarda che si fa cambiare l’aria quando non c’è nessuno, soprattutto in questi periodi. Altrimenti al diavolo i termosifoni» intervenne Sakura, sedutasi comodamente sul suo banco, con le gambe a penzoloni.
«Lascia perdere, è fiato sprecato.»
«Puoi ripetere per favore?»
Sakura si rassegnò, sospirò avvilita. «E’ possibile trascorrere una sola giornata senza che voi due litighiate?» E meno male che erano migliori amici, non riusciva a immaginare cosa sarebbe successo in caso contrario. «E poi è l’ultimo giorno di scuola, dove trovate la forza di litigare?»
Né Sasuke né Naruto apprezzarono il suo intervento.
«Ho detto che parlare con te è fiato sprecato. Sei una testa calda. Forse è per questo che hai bisogno di aria fresca» riprese Sasuke, tranquillo.
«Può darsi» s’indispettì Naruto. «Sempre meglio di te che hai paura di un po’ di venticello gelido. Che poi tonifica la pelle.»
«E’ semplicemente da malati spalancare la finestra d’inverno, non è che ho paura.»
«E allora perché non andiamo alla pista di pattinaggio questo pomeriggio? Non hai paura di stare all’aperto, e poi l’ingresso è scontato del cinquanta per cento, visto che tra poco sarà Natale» propose Naruto, raggiante; probabilmente era lì che voleva arrivare servendosi dei suoi stupidi e sconclusionati ragionamenti. «A meno che tu non abbia paura di scivolare davanti a tutti, teme.»
Sasuke alzò un sopracciglio, Naruto ghignò e Sakura seppe che la sfida era stata lanciata. Quei due, dedusse, avevano dei modi di fare del tutto bizzarri. Talvolta si domandava per quale motivo non li abbandonasse a loro stessi, a litigare all’infinito su questioni assurde come finestre aperte o altre sciocchezze.
Che pazienza.
«Sakura-chan, vieni anche tu?»
Probabilmente, si rispose, non li abbandonava a loro stessi a litigare all’infinito su questioni assurde perché in fondo li adorava entrambi. «E va bene. Però, mi raccomando» e, come lo disse, seppe che farlo era inutile, «niente sciocchezze.»



Sasuke non era proprio rientrato a casa.
Aveva avvertito Itachi con un semplice sms – rincaso più tardi –, poi aveva spento il cellulare. Se glielo avessero chiesto, non avrebbe saputo dire perché si comportasse in quel modo con suo fratello, gli veniva schifosamente naturale.
Che il Natale fosse alle porte, e che quindi, teoricamente, tutti dovessero provare a essere più buoni, lo faceva soltanto irritare di più. Perché era dannatamente assurdo che si riuscisse a essere dolci come il pane se per il resto dell’anno si era acerbi come limoni andati a male.
In ogni caso, Sasuke si sarebbe rincitrullito in una seconda occasione, dato che adesso la sua priorità era un’altra. Se era vero che non sapeva cosa lo spingesse a mostrare di detestare Itachi, lo stesso non poteva dire di Naruto. Quell’idiota riusciva a cacciarlo sempre nei guai.
«Ehi, teme, che fai? Non ti muovi?»
Perché lui non sapeva pattinare sul ghiaccio, ecco la verità.
L’ultima sua esperienza su una lastra ghiacciata – svariati anni prima, a onor del vero, e con Itachi – gli aveva quasi regalato una bella caduta di quelle epiche, di quelle che non si dimenticano e fanno ridere per mesi.
Tuttavia, la mano salda di Itachi, avvolta in un guantone caldissimo – lo ricordava come se fosse solo il giorno prima – lo aveva afferrato ed era finita lì.
Come si soleva dire, chi non muore si rivede, e Sasuke non moriva di gioia nell’incontrare nuovamente la lastra ghiacciata dei suoi incubi.
In classe il ricordo non gli era sovvenuto; un po’ per orgoglio, un po’ perché se avesse inventato qualche scusa per non andare a pattinare sarebbe stato costretto sia a tornarsene a casa da Itachi che a sorbirsi le future derisioni amichevoli di Naruto – hai paura, teme?
Entrambi i casi non lo stimolavano.
«Sasuke-kun, va tutto bene?»
Diamine, non per nulla, ma persino Sakura sapeva pattinare, e si muoveva leggiadra per la pista.
Un genietto amante dell’avventura – e del rischio – come lui non poteva aggrapparsi alla sbarra come facevano tutti i principianti e muovere i primi passi standosene ancorato lì vicino, quindi si buttò subito in pista.
Con la stessa velocità, anche il suo orgoglio fu buttato al vento quando le gambe cominciarono a traballargli e il mondo si capovolse sottosopra tutto a un tratto. Poi non sentì più nulla.

Tags:
"L'unico il solo il primo",
AU,
Capitolo 1,
Uchihacest,
Verde
 
Top
0 replies since 17/12/2012, 16:17   23 views
  Share