Gensou - Progetto Tsuki no Me, [01. Il piano]

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Hikari93
icon3  view post Posted on 21/7/2014, 16:24




Buongiorno! :wub:

Quello che ho intenzione di fare è postare il primo capitolo di questa storia (sono in dubbio su se tenerla su EFP o postarla solo sul blog, comunque) per festeggiare la mia libertà dalla sessione estiva. :B): Arriva l'estate anche per me! *________*

Dunque, dunque. Prima la lettura, poi qualche nota. y____y *presadirettamentedaEFPperchéleièpigra*



Gensou

Progetto «Tsuki No Me»






[01. Il piano]


Scorse per le ultime viuzze buie e spopolate, leggiadro, risparmiandosi gli sguardi accorati alle spalle, perché aveva imparato fin troppo bene a captare il rumore di passi e a scoprirsi, eventualmente, seguito. Infilò rapidamente la solita porta, la terza lungo la stradina più povera di Konoha, e, una volta dentro, rilassò i muscoli facciali in un’espressione seccata.
«Quanto dovrà durare questa buffonata?»
L’oscurità dilagava tutta intorno per via delle luci spente, ma il ragazzino non dubitava della presenza di altre anime all’interno. D’altronde, era sempre così. La voce, infatti, non impiegò troppo per diffondersi.
«Questo è far soldi, Madara» espresse, ridente. «Pensavo ti fosse chiaro.»
«E lo è» sbuffò in risposta. «Quello che non capisco è fino a che punto, tou-san. Quand’è che ti basterà?»
«Le ricchezze non sono mai abbastanza.» Il click dell’interruttore rivelò la sagoma dell’uomo, che si spostava con lentezza per accomodarsi compostamente sul bordo del tavolo al centro, spoglio. «Si scialacquano in un secondo e nemmeno te ne accorgi. Rimani con un pugno di mosche in mano, e alla fine è troppo tardi per rimediare. Finisci per strada, ti indebolisci, subisci gli sguardi pietosi di tutti e infine crepi anche da solo e senza nulla, perché i poveri non piacciono a nessuno. Invece, trovando il giusto equilibrio tra lo speso e il guadagnato, non si incappa in alcun… incidente di percorso. La nostra vita è l’ideale.»
«Finché non saremo beccati, almeno» replicò Madara, sistemando il vecchio chiavistello arrugginito dell’ingresso. «In quel caso che cosa faremo?»
«Non serve guardare troppo in là, nel nostro caso» ghignò. «Se ragioni così, se ti fossilizzi sulle sventure e ti lasci forviare dal timore di essere scoperto, non andrai avanti a lungo, credevo di avertelo insegnato. Piuttosto, non pensi che la vita meriti un pizzico di rischio? Guardali, guarda i tizi con cui abbiamo a che fare. Sono soltanto dei bacucchi che si lasciano sottrarre suon di quattrini da sotto al naso con facilità estrema. Questo accade perché si sentono al sicuro, schermiti dall’importanza che credono di avere, senza considerare che esiste chi è più furbo di loro, chi sa fingere e giocare al meglio le sue carte. Bisogna essere abili, ma ho fiducia in te.»
Madara non rispose. Superò il suo genitore, apprestandosi a raggiungere i giacigli al piano di sopra e a concedersi il riposo che la mente, molto più del corpo, reclamava a gran voce. Poggiò appena la suola consumata sul primo scalino traballante, che Tajima lo richiamò nuovamente.
«Non ho finito.»
«Cos’altro c’è, ancora?»
Sbatté la mano sul tavolo, più volte. «Vieni qui» intimò. «Dobbiamo discutere di una cosa. Ho trovato un nuovo lavoretto che potrebbe fare al caso tuo.»
«Non ho concluso con gli Hyuuga» gli fece presente, sperando che tanto bastasse per farlo spedire di filato a letto. «Ho scoperto parecchio su di loro, e credo che entro una settimana potre-»
«Dimenticati di loro, non ci interessano più.»
Intuì che quello fosse un modo alternativo per suggerirgli nuovamente di doversi avvicinare. Il che presupponeva che il discorso sarebbe stato lungo e noioso. Suo padre la faceva molto semplice, ma intanto chi doveva indossare volta per volta costumi diversi, interpretando personalità sempre nuove a seconda dell’incarico affidatogli, era lui. Presto, sarebbe toccato anche a Izuna, ancora troppo piccolo per imprimersi nella mente tutti i dettagli delle numerose e infinite storie che si dovevano addossare.
«Allora, di che cosa si tratta?» gli domandò.
Lasciò strusciare uno sgabello lercio fino al limitare del tavolo, poi vi si sedette. Si chinò in avanti, poggiando il mento sulle braccia incrociate sulla superficie del mobile e fissò suo padre dal basso.
«E allora?» richiese.
«Voci di corridoio sostengono che la famiglia Senju si troverà presto a Konoha, fortunatamente dall’altra parte del paese.»
«Dovremo spostarci, quindi» notò Madara, senza sorpresa.
«Certo.»
Del resto ci era abituato: non trascorrevano mai troppo tempo nello stesso luogo, le loro mansioni non lo permettevano. Così, si trovavano a vagare, a incrociare nuova gente che non poteva conoscere la loro vera identità e a imbrogliare ancora il malcapitato di turno. Anche per quel motivo sceglievano bene la vittima da colpire, in modo che non dovessero tornare negli stessi luoghi da cui avevano già prelevato. Ovviamente, stringere amicizia non era possibile: affezionandosi, si comprometteva il buon esito della missione, e Madara si riguardava dal farlo.
«Quando partiamo?» domandò. «Non potremmo aspettare qualche giorno e finire prima con gli Hyuuga? Sei così ansioso da lasciare le cose a metà, e non è da te. Chi sono questi Senju?»
Tajima sorrise; anzi, non aveva smesso di farlo da che Madara era entrato. Voleva dire che la questione lo divertiva particolarmente, e con ogni probabilità c’era qualcosa sotto. Non come le altre volte.
«I Senju sono dei citrulli che ci assicureranno un bel colpo grosso, di quelli che potrebbero mandarci in licenza per un bel po’ di tempo.»
Madara rimase interdetto. «Hai appena detto che in un lavoro come il nostro non si smette mai, e adesso parli di licenza? Ti stai contraddicendo.»
«Affatto» replicò. «Proprio perché sono convinto di quanto dico e dici dovresti capire in che cosa stiamo per lanciarci. E’ una delle famiglie più potenti del paese. Se riusciamo a regolarci e a programmare tutto nel dettaglio, la loro disfatta sarà la nostra vittoria.»
«Come vuoi, in fondo non mi interessa.» Comunque gli sfuggiva la logica del suo genitore, e non aveva ben compreso il senso delle sue affermazioni; ma aveva troppe ore di sonno accumulate sulle spalle stanche per porgere domande inutili. «Ciò di cui mi importa è la mia parte. Cosa vuoi che faccia?» Chi doveva diventare, come doveva farsi chiamare, cosa inscenare. «Hn, e immagino che gli errori siano banditi, stavolta.»
«Naturale. Dovremo pianificare tutto, in ogni più piccolo particolare, per quanto ci sarà possibile. In fondo, sei consapevole che i programmi vengono frantumati dagli eventi.»
«E tu già hai in mente qualcosa» osservò il ragazzino, facendosi via via più attento. «Forse anche più di qualcosa.»
«Un’idea, un mio piano. Non è ancora bene organizzato, ma c’è una base solida sui cui poter fare affidamento. Ovviamente, a seconda di come andranno le cose, ci regoleremo in futuro, come ho appena spiegato.»
«In futuro? Ci vorrà molto tempo?»
«Quanto basta» rispose l’uomo, portando il piede sopra il tavolo. «Questa volta agiremo con calma estrema, al costo di impiegarci mesi. In ogni caso, lodo la tua capacità di comprensione. Bravo, Madara.»
Madara, soprassedendo ai complimenti che gli erano stati fatti, si accigliò. Sentiva forte il desiderio di domandargli cosa lo spingesse, in realtà, fino a quel punto, addirittura a mollare il resto pur di dedicarsi anima e corpo ai Senju. Era fin troppo sveglio per bersi la storia della ricchezza sfondata di quella famiglia come unica motivazione; se poi ci aggiungeva il vivo rimorso che suo padre nutriva verso chi, in un passato lontano o meno, gli era andato contro, facendogli un torto, filava tutto. Ne dedusse che, sicuramente, non era la prima volta che si scontrava con quei tizi, e che doveva conoscerli meglio di come stesse facendo intuire. Non si informò soltanto perché gli occhi gli bruciavano e la mente si intorpidiva: voleva andarsene a dormire, solo quello.
«Ma adesso veniamo a te» riprese Tajima, incentivato dal suo sbadiglio trattenuto e dallo sforzo evidente di mantenere le palpebre sollevate. «Non ti domando nulla di apparentemente complicato o diverso da quello che hai sempre fatto: in sostanza, dovrai spiare i Senju e apprenderne le abitudini, senza lasciarti sfuggire alcunché. Ricorda già da ora che tutto potrà esserci utile, qualunque informazione. Per il resto, lascia fare a me e non preoccupartene.»
«C’è qualcosa che non mi torna» espresse Madara, dubbioso. «Se sono così potenti come dici, non vivranno di certo per strada. Immagino che siano rintanati in ville mastodontiche circondate da innumerevoli guardie del corpo e servitori rompiscatole. Sarà diverso dalle altre volte. Non avremo a che fare con semplici borghesi, o sbaglio?»
«Affatto, hai colto in pieno. Proprio per questo, dovrai approfittare delle loro visite in città – sperando che siano assidue – e avvicinarli» gli spiegò.
«Sarà comunque complicato» rimbeccò Madara, sostenuto. «Non penso lascino azzeccare il primo che passa. A meno che io non debba fingermi un altolocato, a quel punto il discorso cambierebbe.»
«Oh, no, assolutamente no» ghignò Tajima, inclinando il viso di lato. «In qualunque contesto, i primi nemici sono coloro che ti rassomigliano, che ti circondano, che possono rappresentare un futuro cruccio. La gelosia, o anche la paura di essa, producono diffidenza e allontanano il bersaglio. Al contrario, i deboli, dei quali non hai nulla da temere perché semplicemente non sono al tuo livello, ti ispirano una fiducia pazzesca che supera l’indifferenza iniziale.»
«E quindi dove vuoi andare a parare?» Ci erano arrivati; girandoci attorno, ma c’erano arrivati. «Dovrò fare lo straccione di strada?»
L’uomo osservò per bene l’espressione aggrottata del figlio, percependo quanto incidesse nelle sue parole ciò che gli aveva inculcato fin da sempre; l’amore per il potere, il terrore di rimanere con la sola compagnia del nulla, il disprezzo per la propria povertà, esistevano tutti nel suo sguardo, e Tajima non poteva che esserne compiaciuto.
«Eiri Matsuhane, quattordici anni» cominciò a spiegargli. «Sua madre è deceduta qualche mese fa in un terribile e inaspettato incendio dovuto a una comunissima stufa a gas di quinta categoria, lasciata accesa durante la notte, mentre suo padre non ha mai voluto prendersi alcuna responsabilità del nascituro sin da quando ha saputo della gravidanza; Eiri non l’ha mai incontrato, e, per quanto voglia cercarlo, vince la paura di sentirsi respinto di nuovo, quindi si mantiene sulla sua strada, restio a parlare di questo argomento, deciso a vivere da orfano qual è diventato. Oltretutto, pur essendo scampato al rogo, una gamba si è dovuta parzialmente sacrificare per forze di cose, costringendolo a zoppicare, e ciò influisce sulla sua scelta: dubita che qualcuno come lui, incapace anche di dedicarsi ai lavori più semplici se non con sforzo e dolore estremo, possa essere di qualche utilità in campagna, dove vive. Dal giorno dell’incidente, poi, è stato aiutato momentaneamente dalla sua vicina di casa, intenerita dalla sua condizione. Ma a Eiri, col passare delle settimane, non è andata più bene, si è sentito avvolto; la situazione economica della signora Amane era già fin troppo disperata per aggiungere un fardello in più come poteva esserlo la sua presenza – impossibilitata, ricordalo, a lavori di qualsiasi genere –, perciò il ragazzino ha deciso di abbandonare tutto e di non farsi aiutare da nessuno, in modo da non doversi sentire in debito. Si è spostato dalle zone periferiche e povere di Ame, dov’è nato e cresciuto, a quelle centrali di Konoha, nella consapevolezza che lì nessuno si sarebbe interessato alla sua vita, troppo preso dal proprio sfarzo per badare al lerciume della sua situazione.»
«Perché Eiri non ha fiducia nei ricchi, giusto?» lo interruppe Madara.
«Giusto. Ha conosciuto fin troppa miseria per abituarsi al lusso e accettarlo. E’ un ragazzino complicato, ma allo stesso tempo sveglio. E’ perfetto per te, Madara.»
L’interpellato abbassò lo sguardo, pensoso. Come succedeva ogni volta che suo padre costruiva una nuova vita per lui, cominciava a immergersi in quei panni, a diventare chi doveva e a riflettere su tutto ciò che gli era stato comunicato, in cerca di punti che non erano stati sufficientemente approfonditi, ma che sarebbero potuti servire.
«E come vive Eiri, ora?»
«Non vive, è semplice» constatò suo padre. «Ha deciso di abbandonarsi e di lasciarsi morire, di far fare al tempo il suo corso. Si sente estraneo dal mondo, incompreso e assolutamente solo. Non riesce ad afferrare l’ancora che può fargli saldare i piedi per terra, ma il suo pensiero è sempre rivolto a sua madre, sua madre, sua madre, l’unico legame che abbia significato e significhi qualcosa, per lui.»
«Ed eventuali nonni?»
«Mmm…» Tajima fissò il soffitto, spontaneamente, le dita incatenate sotto il mento. «Preferisci morte naturale o proponi qualcosa di più ideativo?»
Le prime volte, a Madara era parso terribilmente strano e sbagliato costruirsi storie false e appropriarsi, venendone così a mancare di rispetto, dei dolori e delle sofferenza altrui, come la morte di un caro o una qualsiasi disfunzione. Ci aveva fatto l’abitudine, ormai, e quindi riusciva a ragionarci sopra, considerando che più si calcava la mano e più si avevano buone possibilità di vittoria. E l’importante era il colpo finale, sempre.
«Magari… una malattia alle vie respiratorie…» propose, fissando un punto dinnanzi a sé. «Non è necessario conoscerne il nome, per l’esattezza. Eiri… non credo sappia granché di medicina, essendo cresciuto nelle campagne di Ame. Inoltre… sua nonna è venuta a mancare quando era solo un bambino, e sua madre gli ha spiegato semplicemente che la causa del decesso è stato un brutto male. Oppure… una brutta cosa, Eiri-chan» scimmiottò, «con tanto di scompigliata superflua di capelli» fece uno sbuffo. «Trattandolo come un demente.»
Non aveva mai conosciuto suo madre, quindi il solo pensiero di ricevere le cure affettuose di una donna lo mandava in bestia, lo faceva scoprire debole e bisognoso, come non voleva sentirsi. Si ritrovò a chiedersi se suo padre lo avesse immaginato e avesse sottolineato a posta il legame madre-figlio per il suo personaggio, tuttavia, anche nel caso specifico, il silenzio abbatté le curiosità inopportune.
«Mantenersi sul vago…» Tajima rifletté, le dita a tamburellare sulla superficie legnosa. «E’ fattibile per come l’hai proposta. Così va bene.» Mostrò un sorrisetto compiaciuto, soddisfatto nell’appurare quanto Madara stesse apprendendo il mestiere.
«Quindi è deciso per lei, mentre per il caro consorte... morto dal dispiacere, qualcosa di simile. Si è lasciato morire» espose, con la stessa facilità con cui avrebbe ordinato a un ristorante, mordicchiandosi un’unghia con disinteresse. «Magari non hanno potuto nemmeno cominciare le cure per la mancanza di denaro, e per questo il nonno di Eiri ha reagito ancora peggio. Avrebbe un senso maggiore anche il suo odio verso i soldi e verso chi li ha. O, più che odio, diffidenza, noncuranza. Tranquillo, eventualmente saprò come rispondere senza destare sospetti.»
Suo padre gli diede ragione. «Tanto sai come fare.»
«Ho ancora una domanda, però» proruppe Madara, fermando l’uomo che, con una spinta, era saltato già dal tavolo. «Come ha fatto Eiri a sopravvivere da Ame a Konoha senza soldi?»
«Problema facilmente ovviabile: ha usato gli ultimi risparmi lasciatigli da sua madre, gli stessi che, nonostante Eiri abbia insistito, Amane ha rifiutato di prendere come compenso per averlo ospitato in casa sua. Anche questo ha spinto Eiri ad andarsene per conto proprio. I soldi gli sono bastati fino al confine, ora sta patendo la fame…» Osservò suo figlio con attenzione, squadrando la sua figura per quanto possibile. «Alzati» gli ordinò. «Devo controllare una cosa.»
Madara obbedì, mettendosi in piedi nonostante la voglia di addormentarsi lì sopra. Si sentì afferrare il braccio da suo padre e, a causa del sonno prepotente, sobbalzò un pochettino.
«Dovresti dimagrire ancora» constatò Tajima, puntando lo sguardo anche ai fianchi e alla pancia. Effettivamente Madara si manteneva in forma, figura sottile e asciutta, ma per il personaggio di Eiri non era abbastanza trasandato e sciupato. «Altrimenti» aggiunse, fissandogli il viso, «non saresti credibile. E non possiamo permettercelo.»
«Quanto tempo ho a disposizione, di preciso?»
«Due mesi.»
Madara continuava a non capire; anzi, a maggior ragione, adesso, non si spiegava perché mollare il colpo con gli Hyuuga. Non che ci avesse messo molto ad abbindolarli, però non sopportava lo spreco, specialmente di tempo.
«Tou-san, in due mesi potremmo portare avanti entrambe le cose. Potrei sia preparami per Eiri che continua-»
«Ti ho detto di scordarti di loro» gli fu ripetuto, stroncando sul nascere la sua protesta. «Inoltre, dobbiamo spostarci, come sai. E partiremo prima, anche perché affronteremo una piccola deviazione.»
«Di che tipo?»
«Torneremo a casa, ho degli affari da sbrigare. Devo sistemare delle piccolissime faccende in modo che il nostro piano vada in porto e non trovi ostacoli.»
Il ragazzino strabuzzò gli occhi impastati di sonno: gli sembrava strano poter rimettere piede in casa sua. A causa del loro lavoro – come talvolta lo definiva suo padre – era costretto a vivere in quelle catapecchie poco affidabili e scomodissime, cambiando catorcio man mano che modificava personalità e città. Per Madara era terribile; avrebbe voluto godersi la propria vita come tutti gli altri. Che senso aveva possedere tantissimo se si viveva allo stesso modo di chi non aveva nulla?
Preferì non pensarci.
«Che cosa devi fare, di preciso?» chiese invece.
«Assicurarmi che ad Ame tutti si comportino come devono e che partecipino al nostro… scherzetto ai Senju..»
Quelle che erano state soltanto ipotesi furono avvalorate dall’ultima espressione di suo padre; gli stava chiaramente dicendo che stavolta non sarebbero stati coinvolti soltanto loro tre – includendo, naturalmente, anche Izuna, seppur non fosse presente al momento –, ma che avrebbero movimentato addirittura l’intero paese di cui Tajima era a capo.
Madara a volte se ne dimenticava. Per via del loro girovagare, trascorrevano mesi e talvolta anni lontano da Ame, tenendo sotto controllo la situazione a distanza. In realtà, suo padre aveva fatto in modo di farsi conoscere pochissimo. Erano altri a metterci la faccia, a essere comandati come burattini in cambio di denaro e a fingersi i sovrani di cui possedevano soltanto un titolo fintissimo. Non aveva ancora capito come facesse il suo genitore a tenere in piedi tutta quella farsa e a non inculcare sospetti in alcuno, né come facesse a ottenere ubbidienza anche quando non c’era, in quanto una persona con del sale in zucca ne avrebbe approfittato immediatamente per accaparrarsi tutto il potere. Talvolta ci aveva riflettuto, ma non era arrivato a una conclusione soddisfacente: da che ricordava, era sempre stato così.
Decise che ancora una volta non avrebbe assecondato quella curiosità. Anche perché Tajima, sebbene avesse mostrato di voler chiudere il discorso, continuava a fissarlo, come se si aspettasse dell’altro.
«C’è qualcosa che vuoi sapere, ancora? O ti è tutto chiaro?» gli domandò.
Madara accantonò i suoi crucci e si focalizzò sulla domanda postagli: ripercorse la storia di Eiri e tutto quello che si erano detti; non seppe se suo padre volesse spingerlo proprio lì o se, al contrario, quella domanda gli era stata posta soltanto per assicurarsi che non fosse titubante. Fatto stava che Madara trovò un ennesimo inghippo.
«Dici che non si avvicinerebbero a me, o comunque non si fiderebbero, se io fossi simile a loro. E perché mai dovrebbero darmi conto se fossi un barbone qualunque? I poveri non piacciono a nessuno, ti viene in mente qualcosa?»
«Solo questo?» ghignò Tajima. «E’ solo questo che ti preoccupa?»
«Ti sembra poco? Dubito che riusciremo a fare qualcosa di buono se non riusciamo nemmeno a incrociarli. E tu punti su eventi troppo casuali, anche se poi parli di piano elaborato nel dettaglio. Ci sono troppe cose che non vanno. Perché degli spocchiosi dovrebbero prestare attenzione al primo moccioso moribondo all’angolo? Tu lo faresti? No, lo so. E nemmeno io.»
Si stava innervosendo: sentiva attutito e aveva un sonno mortale. Inoltre aveva l’impressione che suo padre si stesse divertendo a giocare con lui, o, più nello specifico, a metterlo alla prova in qualche bizzarro modo che gli sfuggiva. Senza contare che conosceva benissimo i Senju, Madara ne era convinto, ma nonostante tutto taceva e si limitava a sorridergli in faccia, come se lo stesse schernendo. Constatò che la stanchezza lo rendeva particolarmente insofferente e non desiderò altro che potersene andare quanto prima, in modo da non dover essere necessariamente brusco con suo padre e litigarci.
«Ti vedo troppo teso, cerca di rilassarti» fu la risposta distesa dell’altro. «E fidati di me.»
«Li conosci già questi Senju?» lo interruppe con arroganza.
Tajima sembrò sorpreso. «Sai bene che nel nostro lavoro sono vietate domande così… azzardate, così dirette. Solitamente, il tuo compito è quello di acciuffare notizie e leggere la personalità di chi ti sta di fronte. Se non ci riesci nemmeno con me, che sono tuo padre e mi conosci da quando sei nato… non costringermi a rivalutare le tue doti, che ritengo eccellenti, Madara.»
«Come vuoi. E quindi…» Madara incrociò le braccia al petto, in un atteggiamento da superiore. «… sei già stato immischiato in affari che riguardavano i Senju, e uno di loro ti ha fregato ben bene, magari anticipandoti in qualche cosa. Ed è per questo che vuoi regolare ogni più piccolo dettaglio, ed è sempre per lo stesso motivo che ne ignori altri, senza focalizzare su di essi la tua attenzione, perché già sai contro chi stai andando. Sostanzialmente, vuoi solo prenderti una specie di vendetta, e non tolleri assolutamente di non riuscirci.»
Che ne dici, ti ho interpretato bene?,avrebbe voluto dirgli. E l’avrebbe fatto se il sorrisetto compiaciuto che Tajima aveva sfoggiato per tutta la serata non fosse scomparso dal suo viso, lasciando il posto a una sottile linea ritta di labbra che non lasciava presagire nulla di conveniente.
«Va’ a dormire, domani dovremo partire presto.»
Madara fu tentato di stuzzicarlo ancora un po’, ma lo frenarono la consapevolezza che suo padre odiasse la sfacciataggine nei suoi stessi confronti e che la miscelasse ben volentieri a una maleducazione che assolutamente non tollerava. Concluse che, se non voleva beccarsi un ceffone in faccia, gli convenisse ubbidire a gustarsi quella piccola vittoria in silenzio.
Si alzò, sorridendo con soddisfazione quando gli diede le spalle.









Dal titolo, direi. “Gensou”, illusione. E il sottotitolo, beh, credo che tutti sappiamo a cosa mi riferisco. U___U” Però, per capire il perché di questo titolo&sottotitolo, bisognerà aspettare la seconda parte della storia. Prevedo che questa fanfiction sarà abbastanza lunga, quindi… abbiate pazienza, per favore. Spero solo di non impelagarmi come mi succede sempre, e di perdermi nei seguito e verso i finali. =.=” Farò del mio meglio.
Avrete notato che in questo capitolo sono stati messi già alcuni elementi. Avete avuto modo di capire di cosa tratterà la storia. Sicuramente ci sono cose che non siete riusciti a capire – come la questione di Tajima –, ma… le scoprirete insieme a Madara. Quindi… fidatevi e non concedetevi giudizi affrettati. Cerco sempre di dare una spiegazione a tutto, nella speranza che sia plausibile e non sia una cavolata. Ma, a tempo debito, mi direte.

Il rating. Per ora è arancione, ma non escludo che più avanti, nella seconda parte della storia, potrebbe diventare rosso. In realtà non so se mettere il rosso già da adesso o se lasciare l’arancione. Nel dubbio, e vai con l’arancio(?).

Credo non ci sia più nient’altro da dire di importante. Solo che parto con inizi lenti, ma per me è necessario, perché voglio/vorrei far capire bene le cose. U_____U”””
Ho scritto già tre capitoli completi e l'inizio del quarto, ma penso che posterò il secondo quando ne avrò scritti cinque. PENSO. Poi, non si sa con precisione.
E basta.

Grazie per aver letto. Ne sono lieta. Spero di avervi incuriositi. :D

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